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Alter Ego, Droga e
cervello |
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Storia delle droghe |
Le droghe. Definizione e
classificazione |
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Definizione di droga
Con il termine droga si indica
ogni sostanza capace di alterare, gli equilibri dei diversi,
ma interconnessi, livelli su cui può rappresentarsi il
nostro essere: il livello biologico, quello psicologico e
quello sociale. Gli equilibri del primo livello sono quelli
della fisiologia. Le droghe interferiscono con i processi
biochimici finalizzati al mantenimento delle condizioni
normali dell'organismo e soprattutto agiscono sui meccanismi
delle funzioni cerebrali, interferendo sugli eventi
biologici che sono alla base delle normali attività delle
cellule nervose: la trasmissione e l'elaborazione di impulsi
nervosi, cioè a dire di segnali ed informazioni.
Gli equilibri del livello
psicologico costituiscono la rappresentazione mentale e
comportamentale dei meccanismi cerebrali di cui abbiamo
appena parlato. Perturbando le funzioni delle cellule
nervose, le droghe compromettono o addirittura annullano gli
equilibri psicologici e quindi la capacità di adattamento
dell'individuo e le possibilità che esso ha di far fronte a
situazioni di disagio intrapsichico, ambientale o
interpersonale.
Le droghe condizionano le
possibilità d'inserimento sociale dell'individuo, minando da
un lato le sue capacità adattative e dall'altro determinando
una reazione di emarginazione da parte del tessuto sociale.
Gli equilibri del livello sociale sono legati alle
condizioni dei due livelli precedenti, ma, a sua volta, il
livello sociale influenza e vincola la dimensione
psicologica e quella biologica.
Il significato dei
comportamenti, delle abitudini, degli stili di vita che un
individuo ricava dalla cultura e dall'insieme dei valori
della società è infatti uno dei fattori che più condizionano
l'esito del riaggiustamento psicologico e quindi biologico
conseguente all'uso delle droghe. Il valore
storico-culturale di normalità e di devianza, infine, è
l'elemento che più contribuisce a determinare
l'atteggiamento della società nei confronti di chi fa uso di
droghe e quindi, conseguentemente, le possibilità che ha
quest'ultimo di adattarsi con i minori danni possibili alla
sua nuova condizione. |
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Classificazione delle droghe
In base agli effetti positivi
ricercati da chi ne fa uso, le droghe possono essere
classificate in sei gruppi:
a) stupefacenti: oppio e
derivati (morfina, eroina, codeina);
b) stimolanti: cocaina,
amfetamine, tabacco, caffè, tè e, se assunti in dosi
piccole, i derivati di sintesi come le metossiamfetamine
(DOM, conosciuta comunemente come STP - serenità,
tranquillità, pace -, DMA, conosciuta come pillola
dell'amore e MDMA, meglio nota come ecstasy);
c) sedativi o ipnotici:
benzodiazepine, barbiturici;
d) inebrianti: alcool, etere,
solventi, colle e, fino alla fine dell'Ottocento, il
cloroformio e l'assenzio;
e) Allucinogeni: LSD, hashish e
marijuana, mescalina, psilocibina, psilocina e se assunte in
dosi appropriate le metossiamfetamine indicate sopra tra gli
stimolanti. |
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Capitolo Primo: Storia
delle droghe |
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Introduzione
Si ritiene comunemente che l'uso
e l'abuso delle droghe siano problemi tipici della società
contemporanea e che le droghe vengano usate nel tentativo di
risolvere o di eludere le difficoltà. Questa convizione
trova conforto nella attuale diffusione delle sostanze che
modificano il funzionamento del sistema nervoso e modulano o
controllano gli stati del cervello e della mente:
psicofarmaci e droghe.
Le indagini storiche,
etnologiche e geografiche, hanno tuttavia dimostrato che la
ricerca della manipolazione della coscienza,
dell'alterazione degli stati della mente e del controllo del
comportamento sono costanti della storia dell'umanità. Lo
psicotropismo infatti si presenta, con metodologie e
percorsi diversi, in tutte le epoche ed a tutte le
latitudini geografiche e sociali.
Attraverso le droghe l'uomo ha
sempre cercato di curare il male, di fuggire gli affanni, le
preoccupazioni, la tristezza, di rompere i vincoli della
quotidianità, di acquisire una percezione mistica e giungere
all'esperienza del sacro.
Ma quali sono le ragioni di un
fenomeno così vasto e radicato nella storia dell'umanità?
Perché l'uomo ricerca con tanto accanimento di agire sugli
stati di coscienza e di modificare artificialmente i
processi mentali, nonostante tutti i rischi e i danni che
ciò comporta? La paradossalità dello psicotropismo forse si
risolve se si tiene presente il fatto che l'uomo è un
animale intelligente e dotato di coscienza. Vivendo
l'esperienza della propria coscienza, l'uomo sembra portato
a controllare gli stati mentali che percepisce, a riprodurre
in maniera artefatta tonalità emotive piacevoli, a fugare -
con ogni strumento valido al fine - le afflizioni e il
dolore. In quanto essere intelligente, l'uomo intende
controllare la sua coscienza con strumenti artificiali, le
droghe, così come controlla con utensili da lui messi a
punto i fenomeni naturali e le cose che maggiormente lo
coinvolgono.
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Disegno Inca. E' visibile la
chuspa, tipica borsa dove venivano portate normalmente le
foglie di coca |
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1. L'Oppio e i suoi
derivati |
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1.1 Cos'è l'oppio
L'oppio è il succo lattiginoso,
condensato all'aria, estratto per incisione dalle capsule
non mature del Papaver somniferum album (papavero
sonnifero). Il suo nome deriva dal termine greco opos:
succo. L'oppio grezzo è la sostanza base di tutti gli
stupefacenti contiene: infatti circa 20 tipi di alcaloidi,
composti organici azotati dotati di elevata azione
farmacologica a livello del sistema nervoso. Tra questi
alcaloidi sono presenti alcune sostanze di diffuso uso
clinico nella terapia del dolore e della tosse, come la
codeina, la papaverina, la narcotina. L'alcaloide principale
dell'oppio è invece la morfina. Per le sue elevate proprietà
analgesiche, essa è stata anche soprannominata la "medicina
di Dio" e rappresenta tuttora il farmaco più usato nella
terapia contro il dolore. La morfina è stata anche la prima
droga iniettabile e costituisce la base da cui si sintetizza
uno degli stupefacenti più tossici e pericolosi: l'eroina. |
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1.2 Storia dell'oppio
L'uso dell'oppio è attestato sin
nei primi testi scritti prodotti dall'uomo. Hul gil,
l'ideogramma con cui i Sumeri indicavano, già nel 4000 a.C.,
il papavero da oppio, stava per pianta della gioia,
dimostrando così come le antiche popolazioni della
Mesopotamia conoscevano bene le proprietà euforizzanti del
succo di tale pianta.
L'oppio veniva usato dagli Egizi
come calmante per i bambini ed era l'ingrediente principale
del pharmakon nepenthes che Elena versa nel vino
durante il banchetto con Telemaco alla corte di Menelao,
raccontato da Omero nell'Odissea (IV, 219-228).
Nella mitologia greca e romana
l'oppio era una presenza ricorrente. Un mito raccontava come
Demetra, la dea della terra feconda, sorella di Zeus, usasse
il papavero per alleviare il dolore provocatole dal
rapimento della figlia Persefone. Per questa ragione, esso
veniva usato nel culto ufficiale di tale divinità e il
papavero veniva collocato immancabilmente tra le spighe di
grano che Demetra tiene in mano nelle raffigurazioni, veniva
usato nelle decorazioni dei suoi altari e costituiva
l'insegna delle sue sacerdotesse. Il papavero è spesso
presente nelle mani di Morfeo, dio del sonno, mentre Nyx,
dea della notte, dispensava papaveri agli uomini. In talune
rappresentazioni, anche Hermes si fa avanti con un papavero,
quando arriva a recare il sonno ristoratore e la fantasia
dei sogni.
L'oppio era presente in
moltissimi tipi di pozione (teriaca) messi a punto
dai medici greci e romani. La teriaca più famosa ed usata
era il galenos (soave) elaborata dal cretese
Andromaco il Vecchio, medico alla corte di Nerone.
Il galenos era
raccomandato come una infallibile panacea. Il più grande
medico dell'antichità romana, Galeno, prescriveva tale
pozione diluita in alcool, per una serie incredibile di
disturbi, tra cui sintomi di avvelenamento, cefalee,
sordità, problemi di vista, epilessia, febbre, sordità e
lebbra. Con questa pozione, stemperata in abbondanti dosi
di miele, Galeno curò il più eminente dei suoi pazienti,
l'imperatore Marco Aurelio, sino a farlo divenire dipendente
dall'oppio, come testimoniano i resoconti clinici compilati
dal medico.
L'oppio era un principio
curativo fondamentale della farmacopea araba e da questa
passò quindi nella medicina europea. Il famoso alchimista
Paracelso, metteva a punto un preparato a base d'oppio
destinato ad avere una straordinaria diffusione: il laudano.
A partire dal '500 l'oppio
diveniva d'uso comune nel nostro continente, come testimonia
il fatto che tale sostanza si trasformava in una sorta di
topos dell'immaginario occidentale, tanto che in
letteratura il riferimento a tale sostanza costituiva una
sorta di pretesto narrativo, una chiave simbolica, per
l'analisi e la descrizione delle lotte umane contro le
tristezze e le sofferenze, contro i ricordi angosciosi, ma
anche un elemento fondamentale nell'invenzione e nello
sviluppo del racconto di intrighi e illecite macchinazioni.
Nonostante la crescente
diffusione dell'oppio, tuttavia, l'uso di tale droga non
assunse mai livelli epidemici. Esistevano consumatori
occasionali e sporadici, individui farmaco-dipendenti, ma
socialmente accettati e capaci di mantenere una vita di
relazione nei canoni della normalità ed infine gruppi
significativamente piccoli di tossicomani completamente
dipendenti ed asserviti alla droga, ma che non
rappresentavano un reale pericolo sociale, data la loro
scarsa consistenza numerica.
L'era industriale e la
sintesi in forma pura dei principi psicoattivi
Questa condizione doveva mutare
con l'avviarsi della Rivoluzione industriale, quando
l'oppio, ormai prodotto in larga scala, diveniva una merce
acquistabile a basso prezzo. In Inghilterra, ad esempio,
l'oppio veniva venduto a prezzi dalle cinque alle dieci
volte più bassi di quelli della birra e dell'alcool. Gli
inglesi disponevano delle enormi piantagioni d'oppio
dell'India, la cui produzione, data la quantità e dato il
basso costo della manodopera, poteva essere commercializzata
a prezzi estremamente concorrenziali. La grande
disponibilità d'oppio a basso prezzo determinava,
soprattutto nella classe operaia, l'instaurarsi di
un'epidemia d'abuso ancora più grave di quella
dell'alcoolismo.
Gli interessi commerciali e
l'avvio della produzione di farmaci a livello industriale
favorirono allo stesso tempo un'impressionante
proliferazione di rimedi a base d'oppio, largamente
pubblicizzati e distribuiti capillarmente. Sciroppi,
cordiali e polveri, dai nomi familiari ed accattivanti (lo
sciroppo dolce della signora Winslow, L'elisir all'oppio di
McMunn, il Cordiale Godfrey, Lo Cherry di Ayer e così via) e
dalle confezioni appariscenti venivano reclamizzati su
giornali e riviste, venduti per posta o direttamente dai
medici, mentre nelle farmacie i preparati a base d'oppio
rappresentavano il prodotto più acquistato.
Questa convergenza di interessi
determinava quindi una rapida estensione del consumo
dell'oppio e dei suoi derivati anche ai ceti sociali
privilegiati. Negli Stati Uniti l'oppio diventava una
sostanza d'abuso tipica della borghesia e soprattutto del
sesso femminile. Stime ufficiali dell'Amministrazione
Sanitaria della confederazione americana indicavano un
rapporto variabile da uno a venti a uno a cento tra
individui dipendenti da oppioidi e popolazione totale,
laddove oggi tale rapporto negli Stati Uniti va da uno a
duecento a uno a cinquecento.
L'abitudine di fare uso
dell'oppio si diffuse anche tra gli intellettuali e tra i
letterati, soprattutto inglesi, George Byron, Percy Shelley,
Walter Scott, John Keats, Wilkie Collins e Charles Dickens
facevano ricorso, saltuario o sistematico, al laudano per
curare i mal di capo, l'insonnia, l'ansia. I casi più famosi
però sono quelli di Samuel Coleridge e soprattutto di Thomas
De Quincey. Quest'ultimo ci ha lasciato un mirabile racconto
autobiografico della sua esperienza di tossicomane, Le
confessioni di un mangiatore d'oppio. Anche la cultura
francese produsse originali posizioni sul problema
dell'oppiomania, come quelle illustrate da Honorè de Balzac
nel racconto Massimilla Doni e quelle discusse da
Charles Baudelaire nei famosi saggi raccolti ne I
paradisi artificiali.
L'oppiomania della Rivoluzione
industriale è un esempio eloquente di come sia l'offerta
delle droghe a creare la domanda, e non viceversa. La facile
disponibilità di tale droga, sia in termini di diffusione al
minuto che in termini di prezzo, contribuì in maniera
determinante all'origine dell'epidemia dell'abuso del
secolo scorso. La grande diffusione dell'uso dell'oppio
nella società di quel periodo, infine, rendeva il dominio
della normalità sociale molto diverse da quello che vige
nella cultura attuale. La gente considerava l'uso dell'oppio
e l'oppiomania come comportamenti non devianti e i governi
continuavano a sancire la loro piena legittimità.
La grave epidemia d'abuso
dell'oppio dell'Ottocento trasformava la produzione e il
commercio di tale sostanza in un colossale affare. Ciò è
testimoniato eloquentemente dal fatto che proprio in quegli
anni l'Inghilterra si decideva a scatenare una guerra contro
la Cina per costringerla a ripristinare la legalità
dell'oppio revocata nel lontano 1729 dall'imperatore Yung
Chiang.
L'espandersi dell'uso dell'oppio
incitò a nuovi studi sulla sostanza. Nel 1804, Armand Séquin
isolava per la prima volta il costituente fondamentale di
tale droga, chiamandolo morfina, in onore a Morfeo, dio
greco del sonno e dei sogni. Un anno più tardi Wilhelm
Setürner, un giovane speziale tedesco di soli vent'anni,
metteva a punto un efficace ed economico metodo di
isolamento e produzione della morfina.
Nel 1853, Alexander Wood
inventava la siringa ipodermica, rendendo così possibile
l'assunzione di droghe in forma pura direttamente nel
circolo sanguigno. Si determinava così una svolta radicale
nel rapporto tra l'uomo e le droghe, in quanto l'iniezione
endovena aumenta in modo drammatico l'azione delle droghe
sul cervello.
Il successo dell'accoppiata
morfina-siringa diveniva ben presto tale che su di essa
cominciava a svilupparsi una terapeutica dalla casistica
praticamente sterminata. La morfina non era soltanto un
rimedio alle patologie organiche, ma diventava anche un
farmaco per le malattie sociali. L'alcaloide dell'oppio
doveva servire, secondo teorie mediche accreditate nella
seconda metà dell'Ottocento, a sconfiggere la piaga
dell'alcolismo e a risolvere così tutti i problemi sociali
conseguenti a tale abuso.
Non si doveva attendere molto
per assistere alle prime tragiche dimostrazioni della
pericolosità dell'uso irrazionale della morfina iniettabile.
Durante la guerra di secessione americana (1861-1865) e con
il conflitto franco-prussiano (1870-1871) decine di migliaia
di militari divennero assuefatti alla morfina, tanto che la
dipendenza a questa droga venne significativamente chiamata
"malattia del soldato". Gli ufficiali medici avevano
purtroppo imparato a somministrare la morfina non soltanto
come anestetico per le operazioni sui soldati feriti, ma
anche per dare sollievo ai più piccoli malanni fisici e al
disagio psicologico provocato dalla tensioni delle
battaglie.
La guerra franco-prussiana
diffondeva la pratica della morfina anche tra lo stato
maggiore dell'esercito tedesco e quindi tra le classi più
agiate del Secondo Reich, sino al cuore dell'intellighènzia.
Il musicista ufficiale del regime, Richard Wagner, e
l'artefice dell'unificazione nazionale, paladino del
militarismo prussiano e cancelliere del Reich, Otto von
Bismarck, erano consumatori abituali di morfina.
La moda della morfina si
radicava anche in Francia, soprattutto tra i ceti medio
alti. Il derivato dell'oppio faceva adepti tra gli
intellettuali, scienziati, uomini di stato. Il generale
Georges Boulanger, ministro della guerra nella terza
Repubblica francese e capo del movimento nazionalista e
autoritario del boulangismo, era stato visto varie volte
iniettarsi morfina in pubblico. Guy de Maupassant usava la
morfina a scopo voluttuario e per stimolare la creatività.
Negli ultimi anni della sua vita, il grande neuropatologo e
maestro di Sigmund Freud, Jean-Martin Charcot, si iniettava
una dose di morfina al giorno per trovare sollievo da una
lombaggine cronica. Jules Verne ricorreva alla morfina per
ridurre il dolore che gli provocava una pallottola
conficcata nel piede che non poteva estrarre a causa del
diabete che lo affliggeva.
Tra fine Ottocento e inizio
Novecento, la morfina assurgeva a simbolo caratterizzante la
cerchia elitaria di esteti e raffinati decadenti e per
estensione degli intellettuali in genere. Si fabbricavano
siringhe d'oro, astucci d'argento ornati da emblemi,
incisioni, stemmi e iniziali di famiglia, contenenti il
necessaire per la somministrazione della droga: una
siringa d'oro ed un grazioso flacone di vetro intarsiato. I
morfinomani della buona società si regalavano l'un l'altro
questi preziosi strumenti scegliendoli con grande cura ed
attenzione. Non era difficile incontrare nei caffé, al
teatro, negli angoli dei salotti alla moda, dame e signori
del bel mondo che si iniettavano con fare disinvolto la
morfina in una coscia, anche attraverso gli indumenti.
Così, la «medicina di Dio» si
era rivelata essere anche un potenziale veleno, il germe
portatore di una delle più gravi epimedie della storia
moderna, la causa scatenante di una piaga sociale
apparentemente insanabile. Occorreva pertanto trovare un
farmaco parimenti efficace contro il dolore, che non
provocasse però la dipendenza. Questa ricerca rappresentava
un nuovo colossale affare commerciale e le maggiori
industrie chimico-farmaceutiche dell'epoca investirono su di
essa ingenti quantità di denaro.
Nel 1898, la Bayer annunciava al
mondo di essere finalmente pronta a commercializzare questo
farmaco miracoloso. Il lancio del nuovo prodotto veniva
preparato con una massiccia e capillare campagna
pubblicitaria. Foglietti illustrativi, depliant e campioni
gratuiti della sostanza vennero inviati praticamente a tutti
i medici e a tutte le farmacie dei paesi industrializzati.
«Contro tutti i dolori, sedativa della tosse, per la cura
dei tossicomani», così recitava il foglietto inviato con il
campione. Era la diacetilmorfina, il cui nome commerciale,
Eroina, derivava dalla parola tedesca heroisch,
energico, eroico, che più caratterizzava, secondo la Bayer,
questo farmaco potente e apparentemente privo di
controindicazioni. |
Demetra
Paracelso
L'accenditrice di narghilé. Jean
Léon Gerome, 1898. Clicca sull'immagine per una versione
ingradita
Charles Baudelaire
Wilhelm Setürner
Alexander Wood
Otto von Bismarck
La morfinomane. Eugène Grasset,
Cromolitografia, 1897. Clicca sull'immagine per un
ingrandimento |
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2. Sostanze stimolanti |
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2.1 Coca e cocaina
I metodi di datazione applicati
su reperti archeologici scoperti nelle Ande centrali,
testimoniano come l'uomo abbia cominciato a masticare le
foglie di coca, da cui si estrae la cocaina, in epoche
precedenti al 2500 a.C.
La pianta della coca ha avuto
un'importanza enorme per tutte le civiltà andine. Ciò è
testimoniato dal fatto che essa era protagonista principale
di tutti i moltissimi miti d'origine con i quali si
raccontavano le vicende leggendarie della fondazione delle
varie civiltà andine. La coca costituiva inoltre la pianta
per eccellenza, la classe paradigmatica dell'intero regno
vegetale, come attestavano i significati stessi della
parola. Nel linguaggio della civiltà Tiahuanaca, ad esempio,
la parola coca significava semplicemente pianta o albero.
La coca aveva un posto
particolare nell'olimpo Incaico. Essa era il dono che il dio
Sole aveva fatto a suo figlio, Manco CCapac, mitico
fondatore dell'impero Inca, per alleviare le sofferenze
umane ed infondere vigore alla nuova civiltà.
Dato il carattere sacrale della
coca, la consuetudine e le leggi incaiche ne limitavano
l'uso all'aristocrazia imperiale e alla potente casta
sacerdotale. Sino all'arrivo degli spagnoli, pertanto, la
popolazione poteva consumare la coca soltanto in occasione
di particolari riti religiosi e per scopi terapeutici. Nel
1532, con la caduta dell'impero Incaico per mano degli
eserciti spagnoli guidati da Francisco Pizarro, la
situazione doveva mutare radicalmente. Con l'uccisione
dell'ultimo imperatore incaico, Atahualpa, gli indios
dell'impero cominciavano a fare libero uso della coca, tanto
che sin dai primi resoconti che gli storici e i cronisti
spagnoli pubblicavano sulla nuova provincia è costante il
riferimento all'estrema diffusione del consumo di coca e al
fatto che gli indigeni considerassero la coca una ricchezza
inestimabile, tanto da preferirla all'oro.
Gli spagnoli usarono dunque la
coca come compenso per il massacrante lavoro nelle miniere e
nelle piantagioni degli Incas schiavizzati. Le complicanze
sull'organismo prodotte dall'abuso generalizzato di coca
amplificarono la mortale azione delle armi e dei virus
europei per i quali gli indigeni non avevano alcuna
resistenza immunitaria, accelerando il già rapido processo
di eliminazione degli indios da parte degli spagnoli.
Coca e bevande toniche
I primi seri studi di
tossicologia e sull'uso della coca in clinica iniziavano
tuttavia soltanto nella seconda metà dell'Ottocento, con la
pubblicazione di un importante opera di Paolo Mantegazza, un
eclettico professore di patologia generale ed antropologia
italiano, intitolata Sulle virtù igieniche e medicinali
della coca e degli alimenti nervosi in genere. Il
Saggio conobbe un successo straordinario in tutta Europa
e divenne il maggiore veicolo di promozione del potente
stimolante nella società occidentale. Ispirandosi all'opera
di Mantegazza,un chimico farmacista corso, Angelo Mariani,
ideava nel 1863 una bevanda preparata con coca sciolta in
vino: il Vin Mariani. Questa bibita tonificante veniva usata
anche in medicina, perché si pensava capace di sollevare il
morale ai depressi e di curare praticamente ogni tipo di
disturbo fisico, dal mal di gola alle affezioni nervose,
dall'impotenza all'insonnia, dall'anemia alle febbri,
finanche ai morbi di tipo contagioso. La bevanda acquistava
immediatamente una popolarità clamorosa, annoverando tra i
suoi acquirenti personalità famose del mondo dell'arte e
della cultura, come Emile Zola, August Rodin, Charles
Gounod, Alexandre Dumas figlio, Paul Verlaine, Jules Verne,
Heinrik Ibsen, Thomas Alva Edison, della politica, come
Ulysses Grant, presidente degli Stati Uniti, come lo zar di
Russia e il Principe di Galles. Mariani era ritenuto un
benefattore dell'umanità, tanto che papa Leone XIII regalava
al chimico corso una medaglia d'oro in segno di
riconoscenza.
Il successo mondiale del Vin
Mariani spingeva l'artigianato e l'industria
chimico-farmaceutica a mettere a punto un preparato capace
di trarre profitto dal ricchissimo mercato creato dal tonico
francese. Fu un farmacista americano di Atlanta, John Styh
Pemberton, a commercializzare nel 1885 la prima bevanda in
concorrenza con il Vin Mariani, il French Wine Coca. L'anno
successivo Pemberton modificava il suo preparato eliminando
l'alcool e aggiungendo estratto di noce Kola - una sostanza
ricca di caffeina -, oli di agrumi e dolcificanti. Il nuovo
analcolico (soft drink) era destinato, secondo la
pubblicità che ne accompagnò l'immissione sul mercato, «agli
intellettuali e agli alcolisti in astinenza»: il suo nome
commerciale era Coca Cola. Sino al 1903, anno in cui il
governo federale statunitense imponeva la decocainizzazione
delle foglie di coca usate per la preparazione, la cocaina
fu un ingrediente della Coca Cola.
Dalla coca alla cocaina
Nella storia dell'uso delle
foglie di coca non si trovano, eccetto che per il consumo
coatto imposto agli indios dai conquistadores,
testimonianze di abuso e di problemi di una certa rilevanza
sociale (nella sanità e nell'ordine pubblico) connessi
all'utilizzo della pianta peruviana. Tali problemi invece
apparivano drammaticamente a partire dal 1860, quando Albert
Nieman, un chimico di Göttingen, riusciva ad isolare
l'alcaloide principale delle foglie di coca, la cocaina. La
disponibilità della cocaina in forma pura facilitava anche
le ricerche medico-scientifiche e l'impiego in clinica,
soprattutto nel settore delle malattie mentali. Fiorirono
così una serie di bizzarre proposte per l'utilizzo
"razionale" del potente stimolante. In Francia, alla fine
degli anni settanta, si consigliava la somministrazione
della cocaina agli operai per l'aumento della produzione
nelle fabbriche. Negli Stati Uniti si usava curare
l'esaurimento nervoso e persino la timidezza con dosi di
cocaina. Nel 1878, il dottor Bentley suggeriva di utilizzare
la cocaina per la disintossicazione dei morfinomani. La
pratica del dottor Bentley trovava purtroppo vasta
applicazione, soprattutto negli Stati Uniti, dove peraltro
veniva estesa al recupero degli alcolisti, producendo
infallibilmente nei pazienti la conversione della dipendenza
dagli oppioidi (e dall'alcool) al farmaco stimolante. Agli
inizi degli anni '80, in Germania furono condotti studi
sulle proprietà stimolanti ed anoressizzanti della cocaina
somministrandola di nascosto ai soldati. Lo Stato Maggiore
Tedesco sperava di trovare una sostanza in grado di
migliorare il morale, l'efficienza e la resistenza delle
truppe alla fatica e alla fame, in modo facile, sicuro e
relativamente economico.
Tali pericolose teorie erano ben
conosciute e condivise da Sigmund Freud e lo spingevano a
sperimentare, entusiasmandosene, gli effetti della cocaina
su se stesso. Nel suo famoso saggio Sulla cocaina,
pubblicato nel 1884, il padre della psicanalisi raccontava
come dal 1864 avesse cominicato a fare uso di cocaina per
combattere i suoi ricorrenti stati depressivi. L'ingenua
fiducia nel nuovo farmaco era tale da indurlo a regalare la
cocaina alla sua fidanzata, Marthe Bernays e a consigliare
il suo uso come farmaco disintossicante a un caro amico, il
patologo Ernst Fleischl, divenuto morfinomane in seguito ad
una lunga terapia del dolore.
Dopo aver trovato iniziale
giovamento, Fleischl sviluppò una fortissima dipendenza alla
cocaina, sino ad aver bisogno di dosi eccezionali, cento
volte superiori a quelle usate nei normali trattamenti, un
grammo al giorno che si autosomministrava per iniezione
sottocutanea. Fleischl cominciava quindi ad avere spaventosi
episodi paranoidei: allucinazioni e deliri che aveva
sperimentato talvolta anche Freud, nei quali terrorizzato ed
impotente doveva lottare contro i morsi e le aggressioni di
miriadi di insetti sopra e sotto la pelle. I racconti delle
angoscianti allucinazioni sensoriali di Fleischl
costituiscono il primo resoconto di un sintomo classico del
cocainismo, la zoopsia, eufemisticamente indicata come
"sintomo delle bestioline". I deliri di Fleischl divennero
sempre più frequenti, sino a renderlo vittima di una delle
prime forme documentate di psicosi cocainica.
La triste esperienza di Fleischl
accomunava presto folte schiere di ex-morfinomani e nuovi
drogati, facendo finalmente spegnere l'acritico entusiasmo
della comunità medica.
L'epidemia dell'abuso si diffuse
quindi tra gli intellettuali, dato che la cocaina veniva
ritenuta una sostanza capace di amplificare le capacità
critiche e creative. Scritto in tre giorni e tre notti da un
autore dedito all'uso dei più diversi farmaci, Robert L.
Stevenson, Lo strano caso del dottor Jeckyll e Mr Hyde,
è forse l'opera letteraria più famosa scritta sotto
l'effetto di cocaina. Il famosissimo Sherlock Holmes,
immaginario detective dei gialli di Conan Doyle, al quale il
suo ideatore faceva consumare notevoli quantità di cocaina,
diede un indiscutibile contributo alla propaganda di questa
droga.
Tra fine Ottocento e inizio
Novecento, la moda della cocaina guadagnava consensi sempre
più vasti anche al di fuori delle elite intellettuali,
soprattutto negli Stati Uniti. Nelle grandi metropoli
europee e americane si inauguravano ritrovi per il consumo
di cocaina. La cocaina, come la morfina, si consumava poi
durante le feste private e nel buio delle platee dei teatri.
La cocaina conquistava nuovi adepti anche nelle classi
lavoratrici. I conduttori di mezzi di trasporto pubblico o
le guardie notturne lo usavano per sopportare il sonno
durante i turni di notte. Per le stesse ragioni, la cocaina
diveniva sostanza d'abuso nel variegato mondo del popolo
della notte. La assumevano scassinatori, prostitute,
giocatori d'azzardo, frequentatori di locali più o meno alla
moda. Negli stati meridionali dell'unione americana la
cocaina costituiva una parte del compenso elargito ai negri
raccoglitori di cotone. In Europa l'abuso di cocaina trova
in Francia la sua patria adottiva. Nel 1924 nella sola
Parigi si contavano almeno 80.000 cocainomani. Nel 1914,
un'indagine epidemiologica pubblicata sul Journal de
Médicine française rivelava che almeno metà delle
prostitute di Monmarte era dipendente dalla cocaina. Molti
tra i dadaisti e i surrealisti francesi erano dediti a tale
droga. La cocaina servì purtoppo a qualcuno di loro per
darsi la morte.
La cocaina dunque era divenuta
un grande affare commerciale e, attirando conseguentemente
gli interessi della malavita, si era trasformata in una
grave minaccia per l'ordine pubblico. A partire dagli inizi
del Novecento, le autorità dei vari stati americani
cominciarono a prendere seri provvedimenti restrittivi e ad
iniziare una vigorosa campagna educativa nelle scuole e
presso gli eserciti. L'atteggiamento degli Stati Uniti
veniva presto imitato a livello internazionale. Il documento
elaborato per la «Convenzione dell'oppio» all'Aja dalla
Società delle Nazioni, nel 1912 e nel 1914, sanciva infatti
la messa al bando della cocaina e restringeva la liceità del
suo uso esclusivamente alle applicazioni mediche e alla
ricerca. |
Erythroxylon Coca
Il dio sole regala la pianta
della Coca agli uomini
Paolo Mantegazza
Locandina pubblicitaria del Vin
Mariani
Albert Nieman
Robert L. Stevenson |
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2.2 Le amfetamine
La storia delle amfetamine è
piuttosto recente rispetto a quella delle altre sostanze
psicotrope che abbiamo già illustrato. Le amfetamine,
infatti, vennero sintetizzate verso la metà degli anni
trenta da un chimico di Los Angeles, Gordon Alles. Tali
sostanze dovevano costituire un sostituto sintetico
dell'efedrina, un principio farmacologico naturale della
pianta Efedra molto efficace nella cura dell'asma, ma di
difficile estrazione.
Le amfetamine, poste liberamente
in vendita alla fine degli anni trenta in confezioni con
inalatore, ebbero immediatamente un successo commerciale,
non solo per la loro efficacia nel trattamento delle
affezioni asmatiche, ma soprattutto per le proprietà
stimolanti, la cui conoscenza si diffuse immediatamente, in
special modo nel mondo degli studenti americani. Questi
ultimi avevano imparato ad assumere il farmaco per vincere
il sonno durante la preparazione agli esami.
In quegli anni le amfetamine
venivano prescritte come antidepressivi e per la cura degli
"esaurimenti nervosi". La potente azione anoressizzante,
inoltre, veniva utilizzata per la produzione di farmaci per
le cure dimagranti. Vennero dunque messe a punto
numerosissime "pillole dietetiche", la cui pubblicità
cominciò ad invadere non solo le riviste di medicina ma
anche i rotocalchi a larga diffusione. Ciò determinava, agli
inizi degli anni cinquanta, una grave e particolare forma di
epidemia d'abuso, con moltissimi casi di persone diventate
dipendenti all'amfetamina nel corso di cure dimagranti, ed
induceva i governi dei paesi occidentali a regolamentare la
produzione e il commercio di farmaci a base di amfetamine.
Le amfetamine e la seconda
guerra mondiale
La prima grave epidemia d'abuso,
in realtà, si era verificata durante la seconda guerra
mondiale. Le pillole a base di amfetamine venivano infatti
distribuite ai soldati, specialmente ai piloti, per
aumentarne l'efficienza e sostenerne il morale. Secondo
alcune stime, circa il 10% delle truppe inquadrate
nell'esercito americano era dedito all'uso cronico e pesante
di amfetamine. Tra i soldati dei corpi speciali e tra i
prigionieri di guerra tale percentuale si alzava sino al
25%. I tedeschi distribuirono agli alleati giapponesi
dell'Asse grandissime quantità di amfetamine, esportando
verso l'Impero del Sol Levante anche le conscenze e le
tecnologie necessarie allo loro sintesi.
A differenza dei tedeschi, però,
i giapponesi distribuivano le amfetamine soprattutto alla
popolazione civile, nelle fabbriche di munizioni e materiale
bellico, per aumentare la produttività. "Ammine della
veglia" fu il nome dato dai giapponesi a queste sostanze e
che indicava sinteticamente i loro effetti più manifesti ed
apprezzati.
Alla fine della guerra, le
industrie farmaceutiche nipponiche cercarono di vendere le
enormi scorte di amfetamine accumulate con anni di
produzione esasperata, attraverso una martellante campagna
pubblicitaria, che decantava l'efficacia di queste droghe
nei casi di depressione, sonnolenza, stanchezza cronica,
obesità. La campagna pubblicitaria ebbe un grande successo
in quanto sfruttava scientificamente il diffuso stato di
frustrazione e sfiducia che si era impadronito del paese,
soprattutto dei giovani, in seguito alla sconfitta militare,
proponendo un rimedio estremamente economico, rapido e
potente. Con gli inizi degli anni '50, quindi, scoppiava in
Giappone una vera epidemia dell'abuso di amfetamine. Una
statistica del 1950 rivelava che circa il 5% della
popolazione compresa tra i 16 e i 25 anni era costituita da
tossicodipendenti dediti all'uso di amfetamine. Un'altra
statistica del 1954, invece, dimostrava che su sessanta
omicidi commessi nel paese, trentuno erano in qualche modo
in rapporto più o meno diretto con l'abuso di tali sostanze. |
Efedra sinica
Struttura chimica dell'efedrina |
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3. Allucinogeni |
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3.1 La canapa indiana
La canapa indiana (Cannabis
indica) è una pianta comune largamente diffusa nelle
zone tropicali e temperate della terra. Dalla Canapa indiana
si traggono la marijuana e l'hashish, sostanze con blanda
azione euforizzante ed allucinogena. La marijuana è una
miscela delle foglie, dei fiori e degli steli della canapa
indiana, mentre l'hashish rappresenta la resina della
cannabis estratta dal polline dei suoi fiori. L'hashish
possiede effetti stupefacenti molto più forti rispetto alla
marijuana in quanto la resina del polline contiene un
percentuale di principi psicoattivi, i cannabinoli, più
elevata di quella propria della pianta al naturale.
Dalla preistoria agli
assassini
Si suppone che l'uso della
canapa indiana cominci in età neolitica nei territori
situati a sud ovest del Mar Caspio e corrispondenti
all'attuale Afghanistan. La conoscenza della canapa si
sarebbe da qui diffusa verso la Cina, dove il suo uso è
documentato nel Rhyya, un trattato cinese di botanica
del XV secolo a.C. Nel trattato farmacologico risalente al
leggendario imperatore Shen Nung, la canapa veniva descritta
come sedativo e panacea. Il testo indiano Atharveda
indicava la canapa come elemento magico e medicinale.
In India la canapa era ritenuta
di origine divina, in quanto derivava dalla metamorfosi dei
peli della schiena di Visnù. Come tutti gli oggetti sacri
essa possedeva vari epiteti tra i quali quello di Vijahia
(fonte di felicità e successo) e di Ananda (che
produce la vita). La canapa era coltivata dai bramini negli
orti dei templi e serviva alla preparazione di un infuso
chiamato bhang, che assunto in determinate occasioni
rituali favoriva l'unione con la divinità.
Gli Assiri bruciavano una
sostanza chiamata qunnabu nei loro templi, mentre
Caldei e Persiani la conoscevano rispettivamente col nome di
kanbun e di kenab. Nell'Avesta persiano
la canapa occupava il primo posto in una lista di migliaia
sostanze terapeutiche.
Nel mondo islamico la canapa era
tenuta in grandissima considerazione. Hashish in arabo
significa erba, anzi è l'erba per eccellenza, come se
l'attività psicotropa della pianta costituisse la chiave
definitoria dell'intero regno vegetale.
La canapa è stata protagonista
della vicenda leggendaria del "Veglio della Montagna" e
della feroce setta dei suoi assassini, che Marco Polo
riprendeva con alcune varianti nel Milione, una
storia che ha stimolato per secoli l'immaginario
occidentale, soprattutto quello dell'epoca Romantica. In
essa si raccontava di come l'imam Hasan, infallibile
ed onnipotente capo della città fortezza di Alamut si
servisse dell'hashish per arruolare dei giovani e renderli
privi di volontà e da lui assolutamente dipendenti in modo
tale da spingerli nelle imprese più pericolose, non escluso
l'omicidio. Il termine assassini, con cui si indicavano in
Europa i componenti di questa devotissimo corpo armato di
vendicatori, e quindi per estensione gli autori di omicidio,
derivava dall'arabo hashishen, cioè dediti all'erba.
L'hashis e l'indagine sulla
follia
L'uso voluttuario della canapa
veniva introdotto in Europa (soprattutto in Francia),
nell'Ottocento, in seguito alla conquista delle provincie
dell'impero Ottomano da parte delle truppe napoleoniche. Gli
estatici abbandoni ed il vacuo torpore, il kif, cui
si lasciavano abbandonare gli islamici divenne presto
esperienza comune tra i borghesi e i giovani romantici
parigini. Nascevano quindi circoli di fumatori d'hashish,
luoghi consacrati ad un nuovo culto laico. Il «Club des
Haschischins» era forse il più noto di questi. Vi
convenivano alcuni tra i maggiori letterati ed artisti
parigini dell'epoca, come Gerard de Nerval, Théophile
Gautier, Charles Baudelaire, Honoré de Balzac.
Diverso era l'approccio che
caratterizzava l'altro famoso cenacolo dei fumatori di
hashish, quello di cui era capo indiscusso il medico Jacques
Joseph Moreau de Tours. In questo circolo l'hashish era
usato "sperimentalmente", come una sorta di sonda chimica
per indagare la follia dal di dentro.
Moreau de Tours, scriveva nel
saggio Du haschisch et de l'aliénation del 1845 di
aver visto «nell'haschisch, o piuttosto nella sua azione
sulle facoltà morali, un mezzo potente, unico, per esplorare
le patologie mentali». Ciò perché per compredere le
straniate architetture del pensiero folle bisognava averci
vissuto dentro, almeno per un momento, ma senza perdere
coscienza del delirio, mantenendo la capacità di osservare e
giudicare le alterazioni via via sopraggiunte. Secondo
Moreau de Tours, questo era possibile assumendo hashish. |
Cannabis
Visnù
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3.2 Piante allucinogene del
sud America
Molto antica è anche la storia
dell'uso religioso del fungo magico del Messico e
dell'America centrale in cui sono presenti due potenti
sostanze allucinogene, la psilocibina e la psilocina,
straordinariamente simili nella struttura chimica all'LSD.
Teonanacatl è il nome indio di questo fungo e
significa carne di dio, perché i sacerdoti messicani
pensavano che esso permettesse di entrare in comunicazione
con gli dei e di acquisire facoltà magiche e curative.
L'idea dello Psylocibe come veicolo di un viaggio a
ritroso verso una grandezza e una ricchezza perdute è ancora
oggi comune in alcuni riti degli Indiani mazatechi e
zapotechi.
Gli aztechi, invece, ritenevano
sacro il cactus peyote, la pianta da cui si ricava un
allucinogeno naturale, la mescalina, la cui ingestione dà
effetti simili a quelli dell'LSD. I mescaleros, così
i conquistadores spagnoli chiamarono gli indios del
Nord America, avevano fatto dell'assunzione di peyote il
fulcro dei cerimoniali religiosi. L'esperienza di
trascendenza e di illuminazione che questa sostanza è capace
di dare costituisce ancora oggi un elemento centrale della
cultura religiosa di alcune tribù indiane d'America. I
sacerdoti del Peyotismo non impongono nessun dogma specifico
ai fedeli, poiché ritengono che ciascuno può entrare in
comunione con Dio tramite la "grazia" che dà l'ingestione
del peyote.
Il peyotismo, e l'uso rituale
del peyote e del fungo psylocibe sono il tema fondamentale
di alcune delle opere più famose di un antropologo
brasiliano, Carlos Castaneda: A scuola dallo stregone,
Una realtà separata e Viaggio a Ixtlan.
Piuttosto che illustrare in maniera oggettiva i risulati di
una ricerca scientifica condotta sul campo, esse tuttavia
rappresentano una ingenua ed acritica apologia della mistica
e dell'irrazionale, tanto che Castaneda è diventato una
sorta di guida spirituale per la ribellione
antintellettualistica condotta da molti giovani negli anni
della contestazione del '68.
La mescalina ispirava un'altra
opera letteraria di grande fortuna, quella scritta
dall'autore di 1984 e de Il mondo nuovo,
Aldous Huxley. Egli riteneva che la mescalina fosse il mezzo
più efficace per gettare luce su quelle zone della coscienza
umana che la cultura occidentale, così improntata alla
razionalità, aveva messo in ombra. Per tale ragione, egli
accettava di fare da cavia agli esperimenti con cui gli
psichiatri Humpry Osmond, John Smythies e Abram Hoffer
stavano indagando la possibilità di studiare i meccanismi
biologici della schizofrenia attraverso l'induzione di
psicosi sperimentali con mescalina. Le porte della
percezione narrano le esperienze e raccolgono le
riflessioni suscitate dai viaggi allucinati condotti da
Huxley sotto l'effetto della mescalina. |
Psylocibe semilanceata
Peyote
Struttura chimica della
mescalina |
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3.3 Gli allucinogeni di
sintesi
Le metossiamfetamine
Tra gli altri allucinogeni di
origine naturale, la mescalina è sicuramente la sostanza
meno attiva. Negli anni '60, l'interesse sorto in ambito
psichiatrico intorno alla mescalina diede un forte impulso
alle ricerche chimiche e farmacologiche tese a potenziare
gli effetti del principio attivo del peyote. Nascevano così
le metossiamfetamine. Le prime metossiamfetamine hanno
conosciuto una grandissima diffusione nel movimento hippy,
soprattutto tra gli hippies di quello che era il
centro mondiale della produzione di nuove sostanze
psicoattive e dell'esplorazione dei loro effetti, San
Francisco. Una tra queste, la
2,5-Dimetossi-4-metilamfetamina (DOM), cento volte più
potente della mescalina, era stata soprannominata STP,
abbreviazione di serenità, tranquillità, pace, ma anche
chiaro riferimento ad un noto additivo della benzina usato
per dare più potenza al motore. Il tramonto della cultura
psichedelica hippy e l'avvento di quella
efficientistica e più "effimera" degli hiuppies
determinava quindi il declino dell'uso delle sostanze
allucinogene. La trasformazione del mercato delle sostanze
psicotrope impose così alla ricerca chimica la produzione di
droghe capaci di aumentare la vigilanza e la consapevolezza
del sé senza produrre effetti psicotici e distorsioni
percettive. La più tristemente famosa di queste sostanze è
l'MDMA, nota come ecstasy. Una droga che ha raggiunto
il massimo della popolarità negli anni '80, in quella parte
della popolazione giovanile che ha assimilato le istanze e
gli stereotipi più deteriori - soprattutto per quanto
riguarda le pratiche di aggregazione sociale - proposti da
alcuni nuovi modelli culturali. L'ecstasy è così diventata
una sostanza molto usata tra quelli che maniacalmente
cercavano e cercano l'esasperazione del divertimento nelle
discoteche, nelle feste private e nei locali notturni,
perché conferisce euforia e possiede una potente azione
eccitante. Al suo uso non è certo disgiunta la drammatica
crescita della mortalità sulle strade del sabato sera. |
Ecstasy
Ecstasy
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La dietilamide dell'acido
lisergico: LSD
Nella grandissima varietà delle
sostanze allucinogene, la dietilammide dell'acido lisergico,
o più brevemente LSD, è sicuramente la più conosciuta. Essa
è stata la prima droga psichedelica ad incidere in maniera
profonda sulla cultura e sull'immaginario del mondo
Occidentale. Intorno all'esperienza psicheledica prodotta
dall'LSD, infatti, si originarono alcuni tratti fondamentali
della "metafisica" e, in certi casi, della mistica che
animava la rivolta hippy e che sul finire degli anni
'60 si diffuse da San Francisco in tutti i paesi
industrializzati.
Il 16 aprile 1943, Albert
Hofmann, un chimico dei laboratori Sandoz, ingerendo
accidentalmente l'LSD nel corso di esperimenti sull'attività
farmacologica dei derivati dell'acido lisergico, veniva
colto da allucinazioni, da un flusso ininterrotto di vivide
visioni, immagini distorte, giochi caleidoscopici di colori,
forme grottesche, durato qualche ora. Egli aveva scoperto
casualmente le straordinarie proprietà psichedeliche
dell'LSD.
Uno dei primi utilizzi dell'LSD
tentati in medicina fu quello in ambito psichiatrico. Esso
venne usato con l'intento di rendere conscio l'incoscio, ma
anche, come nel caso degli altri allucinogeni, quale
strumento per indurre delle psicosi sperimentali e studiare
quindi i meccanismi della malattia mentale. Agli scarsi
successi terapici, tuttavia, si accompagnava una
straordinaria e rapida diffusione nel consumo voluttuario di
LSD. L'LSD diveniva in breve una bandiera ideologica, il
simbolo dell'anticonformismo e del rifiuto dei valori e
della cultura occidentali. Secondo gli hippies e i
ragazzi della beat generation, l'LSD doveva servire a
promuovere quella rivoluzione psichedelica che avrebbe
finalmente liberato la coscienza e i comportamenti dai
legacci dell'educazione all'individualismo e del pensiero
raziocinante imposti come norma dalla società occidentale. |
Francobolli con LSD
Albert Hofmann |
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